TORINO: LETTERA APERTA AL SINDACO SERGIO CHIAMPARINO

Torino -

Lettera aperta al Sindaco di Torino Sergio Chiamparino

Il disagio di un giorno vale molto più di un domani senza futuro

Lettera aperta al Sindaco Chiamparino e ai nostri concittadini


Caro Sindaco,

in seguito alla giornata di mobilitazione del 30 novembre scorso contro l’approvazione alla Camera dei Deputati del disegno di legge di riforma dell’Università, cosiddetto “Gelmini”, al telegiornale regionale è stata riportata la seguente Sua dichiarazione: “Sono inaccettabili tutte le forme di lotta che puntano a paralizzare la città e creano difficoltà nella vita quotidiana a migliaia di cittadini che non hanno colpe. Se gli studenti e le loro organizzazioni persevereranno in questa direzione si alieneranno l’opinione pubblica che potrebbe invece guardare con interesse alla mobilitazione di questi giorni” (1).

Siamo rimasti sconcertati da queste dichiarazioni. Sconcertati per il qualunquismo che racchiudono, per la pochezza di analisi e la scarsa informazione. Vorremmo pertanto tentare di chiarire alcuni elementi che aiutino un approfondimento di questa tematica, uscendo dagli slogan e dalle facili dichiarazioni populistiche.

Intanto chi erano quelle persone che sono scese in piazza? Lei le definisce genericamente studenti. Sì, è vero, la maggior parte di essi erano studenti universitari (quelli veri e non dei facinorosi scansafatiche, come invece ha lasciato intendere il Presidente del Consiglio), studenti preoccupati del loro futuro, studenti privi di mezzi o fuori sede, preoccupati dei tagli alle borse di studio, studenti coscienti con gli occhi ben aperti, che si oppongono allo smantellamento dell’Università pubblica. Poi però c’erano anche i Precari della Ricerca.

 

Chi sono? Cosa vogliono? In Italia sono 60.000. Persone che da anni lavorano nelle università, facendo ricerca, didattica, seguendo le tesi, scrivendo progetti di ricerca, persone con il dottorato di ricerca (che all’estero se li contenderebbero!) che vivono con contratti rinnovati di anno in anno, per 10-15 anni e che spesso si trovano a 40 anni a dover trovare un lavoro fuori dall’università, senza nessuna valorizzazione del lavoro svolto in precedenza, perché non ce la fanno più o non ci sono più soldi, non ci sono più contratti. E poi c’erano i Ricercatori. Loro sono 27.000 in Italia e svolgono nelle università il 40% del carico didattico complessivamente erogato. Non hanno nessun obbligo di farlo, sarebbero pagati per fare solo ricerca, ma lo fanno per passione, senza alcun riconoscimento da parte di nessuno con uno stipendio iniziale di 1.300 Euro mensili.

 

Quella che vorrebbe essere una riforma “epocale”, la cosiddetta “riforma Gelmini”, cancella la figura del ricercatore universitario, condannando a una forma di “riserva indiana” chi ricercatore lo è attualmente. Molti ricercatori, quelli che sono scesi nelle strade, quest’anno accademico hanno scelto con molto dispiacere di rinunciare a fare didattica, per opporsi vigorosamente a tale marginalizzazione e al peggioramento dell’Università. E i baroni universitari? I “mandanti” di questa mobilitazione, coloro che sarebbero veramente interessati al mantenimento dello status quo, dove erano? Nessuno li ha visti, nessuno ne ha sentito neppure la più flebile voce.

Da circa due anni, da quando le prime bozze di questa riforma hanno iniziato a circolare, noi, studenti, Precari e Ricercatori (la parte “debole” dell’Università, i più ricattabili) abbiamo tentato in ogni modo un confronto col Ministro. Abbiamo scritto proposte di riforma alternative, perché convinti che questo sistema universitario abbia bisogno di essere non solo riformato, ma rivoluzionato. Abbiamo tentato un confronto con le Istituzioni, con gli Enti locali (i Precari hanno tentato di aprire un tavolo regionale sulla precarietà, andato deserto), con i vertici delle Università, con la CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane). Nessuno ha dato risposta.

 

Ci siamo sentiti soli, abbandonati dai nostri stessi “capi”, dai professori che sono rimasti in silenzio chinando la testa, ancora una volta, con rassegnazione. E, ultima, la beffa di una prova di forza del Ministro, seguita dallo sberleffo delle sue dichiarazioni “le riforme si fanno in Parlamento, non nelle piazze”.

E allora, Caro Sindaco, cosa avremmo dovuto fare? Non abbiamo interlocutori. La sua generazione è assente, distratta, pronta al più a rinvangare le glorie e i fasti di una lotta di altri tempi, quando il contesto sociale era ben diverso, le prospettive erano altre. Avremmo dovuto continuare a tacere, restare in silenzio, come continua a fare da troppi anni il resto della popolazione italiana? È questo quello che Lei ci sta chiedendo?

Quello che abbiamo fatto nelle strade, Caro Sindaco, si chiama OPPOSIZIONE. Quella che né lei, né la parte politica che rappresenta è più in grado di fare, da tempo. Opposizione a un progetto di smantellamento di tutto ciò che è pubblico: l’istruzione, il welfare, la giustizia, …l’acqua!

Quando martedì scorso col nostro corteo, bellissimo, pacifico, scortato da solo quattro vigili, indaffaratissimi e solidali, siamo passati per le vie di questa città e dalle finestre si affacciava la gente applaudendo e dicendo che eravamo nel giusto, capendo che stavamo lottando per loro, per i loro figli, per il loro futuro, allora lì abbiamo capito che forse non eravamo soli, ma che avevamo solo sbagliato interlocutori. E allora, Caro Sindaco, la smettiamo in questa lettera di rivolgerci a Lei, ai politici, ai Rettori e a chi elegge l’indifferenza e il silenzio a valore, e ci rivolgiamo ai nostri concittadini e a tutti coloro che, nonostante la rabbia iniziale per un disagio reale che abbiamo causato, avranno voglia di informarsi davvero per capire che cosa vogliamo.

 

Ci rivolgiamo a tutti coloro che capiranno che il disagio di un giorno vale molto di più di un domani senza futuro, che vale molto di più di intere generazioni cresciute nell’ignoranza e nell’assenza di valori e che è più importante difendere i propri diritti oggi per non esserne privi domani. E quindi, cari/e concittadini/e, vi chiediamo pazienza e solidarietà per una battaglia che siamo certi essere giusta e vincente, sperando che questa nostra mobilitazione serva da risveglio delle coscienze e infonda a tutti il coraggio e la convinzione che le cose possono cambiare, che lottare contro le ingiustizie è giusto, anche se si crea un po’ di disagio.

Torino, 3 dicembre 2010

Studenti, Precari, Ricercatori, Professori e Tecnici Amministrativi in protesta degli Atenei torinesi.

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