LUNEDI' 18 FEBBRAIO IL CONFRONTO PER LA "RIFORMA DEL MODELLO CONTRATTUALE": A NOME DI CHI ?

Roma -

In casa Cgil infuriano le polemiche sul testo "unitario" predisposto dai confederali per la "riforma del modello contrattuale" lunedì 18 febbraio parte il confronto. Che ovviamente è naufragato. Ma c'è ben poco da stare allegri.

In allegato il testo confederale sulla "riforma della contrattazione" e un primo commento a caldo:

Parole, parole, parole.
L'assassino torna sempre sul luogo del delitto. CGIL-CISL-UIL 15 anni dopo l'improvvido e disastroso accordo per abolire l'indicizzazione dei salari (scala mobile), che ognuno di noi ha pagato in diminuzione del proprio salario e della propria qualità di vita, ci propongono le linee di riforma della contrattazione.
Bisogna proprio dirlo CGIL-CISL-UIL si dimostrano più incoerenti che incostanti e l'esperienza di più di tre lustri senza lustro, con accordi a perdere, si fa sentire: partoriscono un documento in bozza, “Linee di riforma della struttura della contrattazione”, che è l'ennesimo, e forse definitivo, attentato al lavoro dipendente.


Dopo l'ovvia premessa, miglioramento delle condizioni di reddito, qualità del lavoro e, naturalmente..., competitività e produttività, ciò che colpisce è l'assoluta mancanza di un disegno che possa concretamente portare benefici, anzi. L'intuito confederale non va oltre un approssimativo esercizio di retorica manageriale tra “implementazioni”, “dumping”, “outsourcing” e “finanziarizzazione”, mentre le proposte si dimostrano contraddittorie e dannose:
La conferma dei livelli contrattuali è una delle...due linee di riforma; l'altra linea di riforma, cioè l'unica, apre la strada alla triennalizzazione dei contratti, al depotenziamento del livello nazionale (che è quello che deve garantire i minimi) e, quindi, alle gabbie salariali.


Si conferma da un lato l'importanza della suddivisione contrattuale a livello di settore e si persegue dall'altro la riunificazione dei CCNL, di aree omogenee, facenti riferimento a diverse organizzazioni di rappresentanza datoriale.
Per il pubblico impiego lo schema dovrà essere il medesimo con in più l'applicazione del Memorandum, cioè di quell'accordo bidone vendutoci come mezzo necessario per il rinnovo dei contratti nel lontano 2006, e ancora aspettiamo... Perché ogni volta che rivendichiamo un sacrosanto diritto dobbiamo patteggiare, mediare e svendere quanto già abbiamo storicamente raggiunto (e ormai siamo all’osso!).


“La contrattazione di secondo livello sarà incentrata sul salario per obiettivi rispetto a parametri di produttività, qualità, redditività, efficienza ed efficacia” è scritto bene. Neanche Montezemolo l'avrebbe detto meglio. Il problema è che questo salario dovrebbe partire da una “quota”, non meglio precisata, presente nei salari nazionali, cioè il salario nazionale non costituirebbe più il minimo contrattuale sufficiente secondo i parametri costituzionali, ma qualcosa di integrabile a livello locale, se si riesce. Una bella delega per datori grandi e piccoli. Una volta stabilito come si perviene alla composizione del salario, rimane da rispondere alla domanda iniziale: quale salvaguardia dall'inflazione?


Sul punto la triplice dà il meglio di sé, arrivando al parossismo: triennalizzazione dei contratti, senza alcun sistema di incremento automatico in vigenza del contratto stesso, ed affidamento a “criteri credibili” relativamente al costo della vita atteso. Per il recupero dell'inflazione bisognerà comunque attendere il rinnovo contrattuale, con perdita del valore di acquisto su 3 anni, invece degli attuali 2. Si prospettano penalizzazioni in caso di mancato rinnovo (ma a carico di chi?). Non si dovrà più parlare di inflazione programmata, ma di “inflazione realisticamente prevedibile” (l'unica cosa realisticamente prevedibile è l'inutilità della trovata).


L'assunto in base al quale allungando il periodo di vigenza del contratto sia più facile rinnovarlo tempestivamente con recupero dell'inflazione è contraddetto dalla pratica e dalla logica ed in più non risolve il problema, perché:
1. le richieste sindacali a scadenza dovranno essere superiori del 50%, dovendo coprire un anno in più, e ciò determinerà conflittualità e difficoltà nel rinnovo;
2. sarà più lungo il periodo senza salvaguardia del potere d'acquisto, perché lo stesso, se va bene, si recupera a consuntivo con il rinnovo successivo.


RdB/CUB, insieme ad altre forze sindacali (CIB-Unicobas, COBAS, Rete 28 Aprile nella CGIL, SINCOBAS, SULT), già nel 2006 ha presentato una proposta di legge, per il ritorno agli automatismi stipendiali legati al tasso d’inflazione. La nuova scala mobile deve costituire un mezzo redistributivo all’interno di una politica fiscale che non può più ignorare che la voce principale del reddito nazionale non è più da tempo il reddito da lavoro (mentre in crescita sono rendite, interessi e profitti).


Gli accordi del 1993 avevano come obiettivo “la difesa del potere d’acquisto delle retribuzioni all’interno del processo di disinflazione e risanamento dell’economia italiana”, il risultato lo conosciamo tutti. Parole, parole, parole. Non cambiano mai.

L’inflazione è un furto, è il furto del frutto del nostro lavoro
Non lasciare che ti mettano ancora le mani in tasca!
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