MACERATA: PERCHE' IL NO DELLA RAPPRESENTANTE USB AL NUOVO STATUTO

Macerata -

Magnifico Rettore, Gentili consiglieri,

il lungo iter dal quale è scaturita la bozza definitiva del nuovo Statuto dell’Università, oggi al vaglio preventivo di questo Consesso, ha consentito – senza che perdessi mai di vista la responsabilità di una scelta che negli anni a venire condizionerà il futuro di questa Università - la possibilità di un ragionamento posato e complesso sull’impianto in generale ed i suoi diversi articolati.

Da questa riflessione scaturisce il primo motivo di doglianza, poiché, nonostante il lungo lavoro posto in essere, le criticità che avevo evidenziato nell’appello che già il 18 luglio scorso vi avevo rivolto permangono e si aggravano nella stesura pressoché definitiva di quello che oltre ad essere - ed è bene ribadirlo - l’atto normativo fondamentale di ogni ente pubblico, nel caso specifico - così come sottolineato dal Rettore il 13 settembre scorso in occasione della sua presentazione pubblica - interessa tutta la Comunità non solo quella universitaria.

In quell’appello, che inviai a voi tutti e ai senatori dopo i primi mesi di lavori della Commissione incaricata della revisione dello Statuto, ponevo l’accento su alcune questioni fondanti ed orientanti lo spirito della nuova Carta dell’Ateneo: le modalità di elezione del Rettore, in particolare in riferimento al voto pesato del personale tecnico-amministrativo e la questione della rappresentanza di quest’ultimo in seno al nuovo Consiglio di Amministrazione.

La bozza che questo Ateneo si accinge a licenziare nulla ha innovato rispetto alle criticità già rilevate, anzi, l’affermazione di cui all’art. 4, comma 2, in base al quale “l’Università valorizza la professionalità del personale tecnico-amministrativo” è talmente scollegata dal ruolo allo stesso attribuito in relazione alla governance d’Ateneo da suonare come esercizio di pura retorica.

Riguardo all’elezione del Rettore, per quanto siano stati fatti passi avanti in merito al peso del PTA, non posso condividere un’impostazione elitaria, giuridicamente e moralmente inaccettabile che discrimina soggetti di pari dignità sul presupposto di fatto che il personale tecnico amministrativo non è considerato per quello che è, nella diversità pur sempre complementare di ruolo, ma per quello che non è, appunto personale non docente. L’aumento percentuale “concesso”, infatti, non elimina, né potrebbe, l’evidente subordinazione del personale tecnico-amministrativo rispetto alla componente docente che si sostanzia in una architettura elettiva da primo novecento, umiliante ed avvilente.

La questione della rappresentanza del personale tecnico-amministrativo dell’Ateneo in seno al Consiglio di Amministrazione è  d’altra parte un’ulteriore cartina di tornasole rispetto a quanto appena sostenuto.

Non posso condividere la scelta adottata in merito alla composizione del CdA, organo centrale di gestione e decisione dell’Ateneo. Tenuto conto del ruolo svolto dal personale tecnico amministrativo, cui certo non difettano competenza e professionalità specifiche necessarie alla gestione di questa Università, ritengo mortificante il non aver voluto indicare in modo esplicito la presenza di una rappresentanza di questa componente all’interno del Consiglio di Amministrazione. Ed è per me assolutamente incomprensibile che tale scelta sia stata adottata all’unanimità con il voto a favore dei rappresentanti del PTA in Commissione Statuto pur costituendo un arretramento gravissimo su posizioni acquisite da decenni.

D’altra parte, la scelta di imporre a tutta la Comunità Accademica un Consiglio di Amministrazione che per la quasi totalità dei suoi componenti non è elettivo, non trova alcuna giustificazione. Salvaguardare la modalità elettiva - peraltro non esclusa come si vuol sostenere sul presupposto che, alla luce dei principi ispiratori della Legge 240/2010, il concetto di rappresentanza non sia più sostenibile in un organo basato sull’esperienza e sulla competenza - avrebbe consentito alle componenti appartenenti ai ruoli dell’Ateneo di indicare i propri rappresentanti, senza nulla togliere né al possesso dei requisiti stabiliti dalla legge né al ruolo di designazione finale da parte del Senato Accademico stesso.

Tale modalità, non vietata dalla legge di Riforma che rimanda la “designazione o scelta degli altri componenti, secondo modalità previste dallo Statuto” , in particolare per il pta – la cui presenza in CdA al di la’ di dichiarazioni roboanti non è affatto scontata - avrebbe garantito un carattere di democratico confronto in un corpo numeroso e articolato, salvaguardando la peculiarità delle sue competenze e capacità che è pur sempre ascrivibile ad una propria consapevolezza di ruolo difficile da cogliere in caso di designazione eterodiretta. Permane, invece, il dubbio - non infondato - che il “nominato“ finisca per rappresentare chi lo propone, piuttosto che la categoria che avrebbe dovuto democraticamente eleggerlo.

D’altra parte, e la valutazione è sull’organo nel suo complesso, la selezione dei suoi componenti interni da parte del Senato Accademico all'interno di una lista di candidati proposta da un’apposita commissione favorisce l’emergere di una concezione privilegiata basata su scelte personali, “incoraggiate” da valutazioni non meglio specificate in ordine ai vari concorrenti, e realizza - peraltro in contraddizione con un sistema fondato sulla netta separazione dei due organi di governo - un vincolo fiduciario tra consiglieri interni e SA che non dà alcuna garanzia in merito all'autonomia degli uni rispetto agli altri.

Per converso aver lasciato al Rettore, sia pure sentito il Senato Accademico, la scelta dei componenti esterni non tutela adeguatamente l’assetto pubblico dell’Università, pure enfaticamente richiamato nell’art. 1 dello Statuto stesso, in quanto espone al rischio  - tutt’altro che remoto visto che il contesto attuale per la sopravvivenza stessa dell’Ateneo renderà sempre più stringente il ricorso a finanziamenti esterni – di favorire interessi privati rispetto a quelli propri di un’Istituzione per definizione pubblica.

Aver posto veti su fondamentali questioni di principio, laddove la stessa legge di Riforma non ne metteva, non è certo un bel passo avanti sulla strada dell’Autonomia, pur sempre garantita dalla Costituzione. Tanto più quando questo passo si inserisce nel solco di quelle riforme alla rovescia degli ultimi tempi che erodono sistematicamente spazi di rappresentanza e partecipazione così minando alla base ogni voce critica o dissenziente.

Al di là delle varie dichiarazioni, infatti, al personale tecnico amministrativo che partecipa quotidianamente alla gestione dell’Ateneo nulla viene concesso, neanche la previsione “risarcitoria” di una propria Consulta che possa formulare avvisi su materie che lo riguardano e non solo direttamente come categoria. Penso alla revisione dello Statuto sul quale la sola componente che non può esprimere neanche un parere è proprio quella del personale tecnico amministrativo. 

E’ mio vivo auspicio - spero non isolato e non ignorato - che nell’iter relativo all’approvazione dei Regolamenti attuativi, a partire da quello di organizzazione, emergano correttivi realmente apprezzabili. Percorso che si confida capace di valorizzare tutti i Soggetti non ultimi quelli Sindacali che sono pur sempre sinonimo di rappresentanza democraticamente scelta.

Per finire. Al di la’ dei giudizi di valore che ognuno può esprimere sulla cd Legge Gelmini, non c’è dubbio - per quanto su espresso - che i contenuti fortemente verticistici e accentratori da essa delineati, contrastati con vigore dentro e fuori le Università Italiane, siano stati qui recepiti in senso assolutamente peggiorativo.

Nell’aver perso, meglio, nel non aver voluto cogliere la possibilità di tracciare un modello democratico e partecipativo realmente volto a coinvolgere tutte le componenti della comunità universitaria, si è sancito l’emergere di una politica d’Ateneo chiusa e auto referenziale, che seppur attuale, è del tutto antistorica se per Storia si intende una storia di progresso dei rapporti e delle relazioni sociali. E che di sicuro non tarderà a ripercuotersi negativamente sull’efficacia stessa della governance e della leadership di Ateneo.

Per questi motivi, che in re ipsa assorbono qualsiasi altra valutazione, il mio parere sull’adozione del Nuovo Statuto non può che essere negativo.

Barbara Di Tizio

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