CENTROSINISTRA, CONTRATTO METALMECCANICI E PUBBLICI

Lettera aperta

Bologna -

 

 

Con questa lettera intendiamo proporre ai partiti dell’Unione e al popolo della sinistra una seria riflessione, prendendo spunto dalla vicenda del contratto dei metalmeccanici.

Seppure critica, la lettera si propone come spunto di riflessione utile, speriamo, ai militanti comunisti ed a tutto il popolo di sinistra che attende il 9 aprile p.v. come l’inizio di un nuovo ciclo, palingenesi di una stagione che sappia rimettere al centro dei programmi e delle agende politiche i bisogni reali dei lavoratori.


Il centro-sinistra è l’unica alleanza in grado di battere le destre. Il nostro impegno non mancherà per contribuire a ricacciare all’opposizione una destra mercantilista, clericale e reazionaria.

Occorre, dunque, apertamente, decidere da che parte stare senza tentennamenti né ulteriori ambiguità.

Il PdCI si batte, da tempo, affinché le forze di sinistra riescano ad associare alla propria legittima autonomia ideale e organizzativa la necessità dell’unità politica per mettere al centro dell’agenda politico istituzionale i bisogni reali dei lavoratori, a partire dall’abrogazione totale della Legge 30, delle norme residue del Pacchetto Treu, della Bossi-Fini e della riforma Moratti.
Per questo occorre, dopo i primi entusiasmi, prendere spunto da un’analisi approfondita dell’accordo siglato fra le OOSS dei metalmeccanici e le associazioni padronali.
I lavoratori italiani e, in particolare, i metalmeccanici, sono soggetti da anni ad una perdita continua del valore d’acquisto dei salari, posti oggi in una condizione talmente grave da considerare vitali anche poche decine di euro di aumento.
Nonostante ciò, i lavoratori metalmeccanici permangono, oggettivamente, gli operai peggio pagati in Europa, quasi al pari dei colleghi portoghesi.
La vertenza appena terminata ha visto la FIOM operare un enorme sforzo organizzativo per sfondare il muro di silenzio costruito dai mass media attorno alle sacrosante rivendicazioni degli operai. Decine di migliaia di  lavoratori hanno bloccato autostrade, ferrovie e stazioni.
Una lotta condotta soprattutto dal sindacato più rappresentativo degli impiegati e degli operai metallurgici che è sfociata in un accordo prematuro che pare, onestamente, più un’espressione delle smanie concertative di Confindustria e dei protagonisti degli accordi separati promossi dal Governo Berlusconi che non l’affermazione vittoriosa di quella lotta.
Nel pieno rispetto dell’autonomia dei sindacati non possiamo non rilevare alcuni punti politici che questo contratto esprime:
-         la ripresa della concertazione sui contratti flessibili, a termine e sul lavoro temporaneo;
-         la presenza di un aumento molto al di sotto del minimo necessario per affrontare almeno l’aumento del costo della vita;
-         una sostanziale diminuzione del costo del lavoro sostenuto dalle imprese anche attraverso l’allungamento dell’apprendistato (soprattutto per i livelli più bassi).
Siamo consapevoli del fatto che il movimento dei lavoratori è, oggi, in fase difensiva.
Vogliamo solo capire chi intende realmente rappresentarlo o chi invece vorrebbe riaprire una stagione di governo caratterizzata dalla riapertura di una fase concertativa, la modifica non sostanziale della legge 30, rassicurando Confindustria e chi continua ad arricchirsi, con sperpero della ricchezza prodotta dai lavoratori nei mercati finanziari (detassati), con delocalizzazione della produzione, precarizzazione del lavoro, blocchi dei salari, tagli al personale e dequalificazione dei servizi pubblici.
Non c’è dubbio, quindi, sul fatto che la FIOM abbia agito in un contesto non facile in cui gli ammiccamenti fra Cisl, Uil e Confindustria erano evidenti, in un contesto politico in cui importanti settori del centro-sinistra hanno apertamente caldeggiato la riapertura della concertazione piuttosto che affermare la necessità di “andare oltre” a questo contratto e restituire il maltolto ai lavoratori del paese.
Rileviamo sconfortati come sia mancato il sostegno politico alla vertenza dei metallurgici.          
Ciò che da troppi anni è assente in Italia è una forza politica capace, negli equilibri interni al centro-sinistra e, più in generale, al quadro politico nazionale, di rappresentare i bisogni e le tutele dei diritti dei lavoratori.
Non è più sufficiente il “comunicato di solidarietà”: occorre modificare strutturalmente il quadro normativo ripristinando i diritti abrogati dalle stagioni concertative, dal Pacchetto Treu (sul quale è necessario operare una severa autocritica) e dalla Legge 30.
Occorre porre al centro del programma dell’Unione e delle forze della Sinistra la “questione salariale”, la necessità di reintrodurre la “scala mobile” come meccanismo di indicizzazione dei salari in rapporto all’aumento reale del costo della vita.
Una questione che non può essere lasciata esclusivamente alla contrattazione fra le parti sociali ma che pretende di essere risolta anche in ambito legislativo.                     
Il contratto metalmeccanici, la concertazione, e l’anno che verrà.

Ma andiamo con ordine. Facendo correttamente i calcoli il vero aumento medio è di 55 euro mensili lordi sui 30 mesi  equivalenti a circa 37 euro netti, anziché i propagandati 100 euro.

L’una tantum di 320 euro lordi nel 2005 equivale al netto delle trattenute per 12/13 mesi a 217 euro, ovvero a 17/18 euro netti al mese. Dal gennaio 2006 l’aumento netto è di 42 euro, da ottobre 2006 l’aumento è di 17 euro, e da marzo 2007 l’aumento è di 10 euro.
La dilatazione dei tempi di “apprendistato” è addirittura paradossale.
In ultimo, ma non per importanza, l’orario di lavoro potrà essere prolungato al sabato per “ragioni produttive e di mercato”, ovvero a scelta degli industriali, e senza alcuna misura di contrasto al lavoro precario.          
Da questa lettura, svolta con criterio prettamente sindacale, appare mancato l’obiettivo di strappare un pur minimo recupero del potere d’acquisto perduto nel lungo periodo di vacanza contrattuale.  Anzi, la concessione di un allungamento di ulteriori sei mesi di vigenza contrattuale, il forfait di poco più di trecento euro (che non coprono nemmeno le ore di sciopero spese…) in luogo degli arretrati spettanti e, soprattutto, il cedimento totale sul piano della flessibilità e dei diritti dei metalmeccanici, indicano con chiarezza un segno tutto negativo nell’esito di una trattativa lunga ed appassionata in cui i soggetti protagonisti, gli stessi operai che hanno dimostrato un rinnovato spirito di lotta, non possono certo dichiararsi soddisfatti.
Assistiamo con preoccupazione al fatto che, nonostante la lotta lunga e appassionata dei lavoratori e la capacità di “resistenza” dimostrata dalla FIOM, le pretese padronali, già più volte dichiarate, di una profonda modifica dello stesso sistema contrattuale si stiano in buona parte realizzando.
Già dal tempo del “Patto per l’Italia”, ricordiamo le richieste di Confindustria: triennio unico, normativo ed economico; “alleggerimento” delle garanzie nazionali a favore di una maggior “gravità” sul piano decentrato. Le famigerate gabbie salariali, in poche parole.
Naturalmente ricordiamo anche le reazioni dei singoli segretari, è inutile starle qui a ripetere… Le possiamo condensare nel rievocare la breve stagione del “duopolio” sindacale confederale, a testimonianza della divaricazione interpretativa a fronte della proposta di “collaborazione” offerta dal governo di Berlusconi.
Una proposta indecente che  avrebbe comportato il definitivo abbandono di ogni possibilità di rappresentazione efficace dei lavoratori alla quale solo la FIOM e la sinistra sindacale ha risposto negativamente.
Ci eravamo dunque illusi che tale consapevolezza avesse determinato il fermo “no, grazie!”, pure espresso in occasione dell’accordo sul Pubblico Impiego del 28 Maggio 2005, dalle stesse segreterie confederali.
La realtà è però un’altra…
Il CCNL, finora suddiviso in due bienni economici, all’interno d un unico quadriennio normativo, nei fatti è cancellato proprio con la sigla del CCNL Metalmeccanici.
Riprendendo una vecchia parola d’ordine del movimento operaio, forse desueta ma sempre efficace, le segreterie confederali ne hanno stravolto le finalità: “praticare l’obiettivo” è divenuto così l’esatto opposto del terreno di lotta a cui si riferiva.
Le cose che si leggono nei fatti, ancor prima che tra le righe di questo contratto, dicono che il sistema contrattuale è già di fatto triennale e che l’onere degli accordi “concertati” (sono cioè da “accettare” a prescindere, seppure con un accordo di facciata…) sull’applicazione della flessibilità (sabati lavorativi, orari plurisettimanali, etc…) ricade sulle rappresentanze aziendali. Con quale potere contrattuale, poi…?
Per inciso, si pensa davvero che possano essere le RSU o i delegati territoriali i soggetti capaci di garantire diritti e condizioni che non trovano soluzione al più alto livello nazionale…?
E quale sorte si deve immaginare per quelle TANTISSIME realtà composte da micro-aziende (nella sola Emilia Romagna la realtà imprenditoriale è fotografata da una selva di aziende al di sotto dei 15 addetti, tra impiegati ed operai…), laddove non solo sono assenti le RSU, ma non entra neanche il delegato territoriale, e quand’anche entrasse, non può certo “curare” tutti questi importanti aspetti dell’organizzazione del lavoro…?
La sciocchezza è evidente a tutti e, siamo sicuri, non vi sfuggirà di certo.
Il giudizio che qui formuliamo del CCNL Metalmeccanici si condensa dunque in una semplice battuta: “pochi, maledetti, ed in comode rate”!
Quella firma porta ben impressa la sigla delle segreterie confederali, vere tutrici di un accordo dettato da una ratio politica che scavalca le possibili obiezioni di categoria.
Dubitiamo, infatti, che lo stesso accordo sia così ben recepito dai diretti interessati, gli operai. Nonostante l’enfasi mediatica e trasversale che ha accompagnato la firma, o forse proprio per questa – certe dichiarazioni di Caleari sono addirittura disarmanti per la loro esplicita soddisfazione… -, crediamo che indebite “pressioni” e “suggerimenti” abbiano indotto le rappresentanze di categoria ad uniformarsi ai desiderata delle segreterie confederali. I motivi sono da ricercarsi oltre lo specifico contrattuale metalmeccanico, ma da qui, per la rilevanza quantitativa e simbolica che il settore riveste, occorre partire.
Non si limitano infatti qui le ragioni che ci inducono a rivolgere, a voi ed a tutti coloro che hanno a cuore le sorti dei lavoratori, queste nostre amare considerazioni.
Prima di arrivare al ragionamento che qui proponiamo dobbiamo tuttavia ripercorrere il periodo che va dal citato Accordo sul Pubblico Impiego 2005 ad oggi.
Lo facciamo poiché, con una lettura a posteriori dello stesso e delle dichiarazioni espresse dai vari segretari delle sigle ivi presenti, il disegno politico che intuiamo è il vero motivo di questa missiva, e di questo speriamo in un’argomentazione capace di smentire le nostre impressioni.
Quell’accordo è stato sottoscritto da TUTTE le sigle sindacali rappresentative del Pubblico Impiego, ad eccezione della sola RdB/CUB. Va infatti dato atto alla stessa RdB/CUB che l’analisi espressa al momento della loro NON firma era quanto mai corretta e, ahinoi, addirittura profetica nella sua analisi politica.
Le dichiarazioni dei tre principali segretari confederali CGIL, CISL, UIL, raccontavano invece tutt’altra situazione.
A sostegno della nostra tesi è utile citare l’ultimo contratto – in ordine di tempo, finora - del Pubblico Impiego, il biennio economico 2004-2005 dell’Università, aperto e concluso dopo poche ore di discussione nello stesso giorno del 10 gennaio u.s., dopo che era ormai scaduto l’intero biennio, e con un esito a dir poco discutibile; esso testimonia e consolida l’ipotesi che qui esponiamo: la rinnovata ed unitaria concertazione a sostegno di una nuova e pesante stagione di sacrifici per i lavoratori.
Ci sembra di intuire, insomma, con l’avvenuta “certificazione” all’indomani del voto delle Regionali del 2005, che il futuro governo a guida del centro-sinistra abbia innescato già nell’immediato – col  citato accordo sul Pubblico Impiego del 28 maggio e, a concludere, col CCNL Metalmeccanici – il classico “contrordine, compagni”. Non è più il caso di agitare le picche, è tornato il momento di spegnere i fuochi della lotta.
In soldoni, non importa che sia ancora Berlusconi il capo del governo, si deve guardare fin da subito al ruolo che il sindacato confederale, nella sua triplice accezione, dovrà svolgere.
Queste vertenze sono il segno lampante di quanto sia diffusa, anche nel centro-sinistra, l’idea di un sindacato che debba operare una pura azione di contenimento, dunque, non certo di rappresentanza reale di bisogni ed interessi dei lavoratori.
Finita la stagione della “supplenza” politica, sotto l’insegna della ritrovata “unità” concertativa, si preannuncia l’oscuro collateralismo che ha già portato alla sconfitta del precedente governo di centro-sinistra.
Si ripropone, pur con nuovi belletti (ma con poche facce nuove…), una politica di stampo ancor più centrista e sempre subordinata agli interessi imprenditoriali di una borghesia nazionale sempre più a corto di ossigeno e che riesce ad immaginare la sua sopravvivenza ricorrendo ancora ad un’impossibile – ed anche inutile ai fini della stessa “competitività globale”… – compressione di salari e diritti dei lavoratori subordinati.
Sta ai sindacati, e soprattutto alla sinistra sindacale, respingere al mittente questo disegno politico. Sta alla sinistra - e con questa lettera intendiamo proporre un ulteriore passo verso questo obiettivo - rappresentare le istanze provenienti dai lavoratori, riportando il sindacato su un terreno di lotta scevro dai condizionamenti politici di chi persevera negli errori del passato.
Assume un valore centrale la capacità del centro-sinistra e della sinistra di dare ai lavoratori una nuova legge in grado di dare piena rappresentanza al lavoro precario, al lavoro economicamente dipendente e rendendo obbligatoria l’espressione della base dei lavoratori sui contratti.      
Ci confortano le dichiarazioni del Segretario Generale della FIOM circa la centralità del voto dei metalmeccanici al referendum sul contratto appena siglato.
E’ sicuramente un ottimo punto di partenza.
La nostra aspettativa, forse ingenua ma estremamente motivata, è rivolta ad un ruolo del sindacato - nella sua più ampia rappresentazione, confederale, autorganizzato e di base – che sappia riproporre la questione dei lavoratori, in maniera autorevole e soprattutto scevra da condizionamenti di schieramento partitico. Attendiamo un sindacato interprete di una prassi che sappia portare le rivendicazioni e le condizioni dei lavoratori su un terreno decisamente più avanzato di quanto non sia stato possibile immaginare fino ad oggi.
Se non ora, quando, altrimenti?
Inutile dire che, da comunisti, continueremo a sollevare e difendere le questioni di merito che appartengono alle classi subordinate. Altrettanto inutile dichiarare il nostro impegno nel disvelare e denunciare i contenuti reali di accordi – sindacali e/o politici – che abbiano rilevanza sui destini dei lavoratori, e nel sostenere le lotte degli stessi.
E’ il nostro compito e la nostra ragione sociale.
La nostra convinzione è ancora quella che se gli operai stanno bene, l’intera società stia bene.    Lo stesso valore non appartiene alla classe padronale.
Scopo dei comunisti – e delle organizzazioni dei lavoratori - è dunque far avanzare i diritti e migliorare le condizioni dei lavoratori.
Lo stesso ragionamento ci piacerebbe fosse assunto e condiviso dai destinatari.
Al di là di contingenti “convenienze” politiche.

Il confronto. Necessità ed urgenza.

Il fine di questa lettera aperta non è limitato al descrivere ai nostri alleati ed alle organizzazioni sindacali la nostra analisi di fase.
Crediamo e confidiamo nella necessità di un confronto pubblico, aperto, in cui partecipino ed intervengano tutte le forze politiche dell’Unione, della Sinistra, le Organizzazioni Sindacali e gli stessi lavoratori.
Un confronto che può e deve contribuire a mettere in campo iniziative concrete in favore dei bisogni e delle istanze espresse da chi dovremo rappresentare se intendiamo dare al Paese un governo realmente alternativo.
Proponiamo un’iniziativa locale, cittadina, che affronti tematiche nazionali poiché crediamo nel valore del confronto e della partecipazione sui problemi reali vissuti dai lavoratori, tanto più in un contesto di campagna elettorale in cui già prevalgono le strategie mediatiche e d’immagine a scapito dei contenuti di merito.
Il Coordinatore PdCI  Città di Bologna
Diego Negri

Il membro Comitato Centrale PdCI
Matteo Mazzetti