5 SÍ... Nonostante tutto
Nei giorni 8-9 giugno si voterà per i referendum promossi dalla Cgil e sul quesito per la cittadinanza dei migranti. Cinque quesiti ai quali USB invita tutte e tutti a rispondere con cinque SÍ.
Appoggiamo il sì ai 5 quesiti, sebbene USB ritenga rischioso lo strumento scelto per condurre la battaglia contro la precarietà e lo strapotere dei padroni sui posti di lavoro. Inoltre, la moderazione di alcuni quesiti referendari riduce la portata dei possibili risultati, che avrebbero dovuto avere un carattere ben più adeguato a contrastare lo schiavismo dilagante nel mondo del lavoro.
USB condivide anche il quinto quesito per estendere il diritto alla cittadinanza dei migranti dopo cinque anni di residenza, anche se tante altre norme che, ingiustamente, colpiscono cittadini stranieri che da anni lavorano e vivono onestamente con le loro famiglie nel nostro Paese non sono toccate. Un SÍ per difendere lavoratori per bene dal ricatto d’imprenditori senza scrupoli e malavita organizzata.
Per approfondire vi proponiamo il video registrato sul profilo You Tube di USB nel quale potrete seguire (10 minuti circa) la testimonianza-parere di cinque avvocati del Centro di Iniziativa Giuridica “Abdel Salam” (dal nome del sindacalista USB ucciso mentre partecipava ad una manifestazione per i diritti dei lavoratori a Piacenza) su ciascuno dei cinque quesiti referendari.
Conoscere per decidere, informarsi per partecipare.
Ecco il link: https://www.youtube.com/watch?v=7kPvo9dnyGc
Detto questo, è ragionevole affermare che almeno tre dei quattro quesiti sul lavoro proposti paiono formulati con il “freno a mano”. Vediamo perché:
con il primo quesito si mira ad abrogare il “Jobs Act”, cioè il d.lgs. 4 marzo 2015 n.23, approvato a suo tempo dal governo PD a guida Renzi che eliminò il diritto alla reintegra per tutti i lavoratori assunti dopo il 7 marzo del 2015 e forfetizzò, riducendolo, il risarcimento a favore del lavoratore licenziato, fissandolo in due mensilità̀ per ogni biennio di servizio. È giusto abrogare questa norma ma la ratio di questa iniziativa avrebbe dovuto essere quella di ripristinare il diritto alla reintegra per tutti i lavoratori licenziati ingiustamente, come prevedeva originariamente l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, almeno per le aziende con più̀ di quindici dipendenti. E allora perché limitarsi all’abrogazione del Jobs Act, peraltro su questo punto già ridimensionato da diverse sentenze della Corte Costituzionale, e non proporre anche l’abrogazione della legge Fornero num. 92 del 2012 del governo Monti che aveva già̀ colpito seriamente l’articolo 18, riducendone la portata?
La conferma che l’esito positivo di questa proposta referendaria non sarebbe l’affermazione piena del diritto alla reintegra per i lavoratori ingiustamente licenziati si ha con il secondo quesito che punta ad eliminare il tetto delle sei mensilità per il risarcimento in caso di licenziamento illegittimo nelle aziende con meno di 15 dipendenti. Un quesito, quindi, che non mira ad affermare la prevalenza assoluta della dignità della persona davanti ad azioni riconosciute come illegittime, ma lascia la libertà al giudice di variare (auspicabilmente in aumento) il numero di mensilità che oggi la legge stabilisce, escludendo ogni possibilità di tornare nel proprio posto di lavoro. Un passo indietro, questo, anche rispetto al referendum del 2003, sostenuto anche dalla Cgil e dalla Fiom, che poneva la questione del reintegro anche nelle piccole aziende e che, allora, purtroppo non raggiunse il quorum.
Il terzo quesito mira ad imporre causali per i contratti a tempo determinato, abrogando le norme che in questi anni, da Renzi fino a Meloni (con una breve pausa del Decreto Dignità del primo governo Conte) hanno liberalizzato il sistema. Il contratto a tempo determinato andrebbe limitato a situazioni straordinarie e contingenti e invece è diventato un modo per addossare sui lavoratori i rischi di impresa dovuti alla volatilità dei mercati. In questo caso, unico tra i quattro quesiti, l’approccio è chiaro e netto. Se dovessero vincere i SÍ i cambiamenti positivi sarebbero significativi.
Con il quarto quesito si mira ad estendere alle imprese committenti il risarcimento per infortunio subito dal lavoratore dipendente delle aziende in appalto. Si intende così abrogare l’ultima parte dell’art.26, il comma 4, del d.lgs. 81 del 2008, che oggi mette al riparo le imprese committenti dai danni causati dall’attività delle imprese appaltatrici. Giusto. Ma perché chiamare gli italiani a votare su una norma particolare del sistema degli appalti e non porsi anche il problema di rimettere in discussione l’intero sistema che abusa di appalti e subappalti, producendo una riduzione dei diritti e delle retribuzioni per milioni di lavoratori? Se si volesse assestare un colpo ancor più incisivo a questo sistema si dovrebbe abrogare l’art.29 del d.lgs. 276 del 2003 con il quale il governo Berlusconi di allora e il ministro Sacconi trasformarono e liberalizzarono gli appalti, allargandone a dismisura le maglie al solo esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati.
Sui temi sollevati - giustamente - dai referendum sarebbe necessaria prima di tutto una stagione di lotte di massa e radicali. Pochi, però, mettono in pratica tale lotta politica-sindacale.
Per questo, USB conduce una campagna indipendente a sostegno di cinque SÍ.
Perché, nonostante alcuni limiti dei quesiti e le obiettive contraddizioni dei promotori, partecipare è giusto, votare cinque SÍ è doveroso.
Unione Sindacale di Base Pubblico Impiego – Università di Trieste
Ferdinando ZEBOCHIN