Università, Ricerca e Sanità. Non possono essere legate all'economia
L’emergenza che stiamo vivendo dovrebbe averci insegnato qualcosa!!!
I vincoli economici imposti dall’Europa sono stati applicati in Italia in primis alla Sanità, Formazione, Ricerca e Previdenza, secondo una logica di profitto, che ha quasi interamente svuotato le storiche funzioni sociali di questi settori.
L’obbligo del pareggio di bilancio - l’Italia è stato il primo Paese che lo ha inserito in Costituzione - si è rivelato per quello che è: uno strumento politico utile a riformare i settori sociali attraverso una politica di tagli lineari unicamente a favore del privato.
Scelte politiche che confliggono con il diritto ad un servizio sanitario di qualità e con i principi di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
I risultati li vediamo in questi giorni difficili, dove l’Italia sta faticando nell’individuare strumenti necessari per prevenire e per curare il virus, in assenza di strutture sanitarie e, soprattutto, di personale sufficienti.
Analogamente al Servizio Sanitario Pubblico, l’Università è stata, e lo è tuttora, un terreno molto avanzato di sperimentazione dei processi di riorganizzazione.
La cosiddetta privatizzazione dell’Università ha significato sostanzialmente la trasformazione degli atenei in vere e proprie aziende di servizi per le imprese, allontanando l’istituzione universitaria dalle proprie finalità culturali e pubbliche.
Queste trasformazioni, condotte attraverso de-finanziamenti, ottuse politiche di spending review e strumenti “falsamente meritocratici” hanno prodotto un sistema concorrenziale tra gli Atenei.
Le Università sono state costrette ad aumentare le tasse di iscrizione e a cercare fondi privati per finanziare le attività e per retribuire personale sempre più spesso precario che difficilmente potrà essere stabilizzato.
Basta ricordare che
-
l’Università’, che nel 2019 ha avuto risorse pari solo allo 0,3% del PIL contro una media europea dello 0,7%, continua a subire insufficienti finanziamenti di borse di studio;
-
l’elevato costo delle tasse di immatricolazione che nel 2018, con dati non omogenei sul territorio nazionale, ha determinato che il 90% degli studenti, anche in carenza di infrastrutture e di borse di studio adeguate, ha avuto un costo pari a 1345 euro per gli studi di primo ciclo e a 1520 euro per il secondo ciclo
La ricaduta di queste strategie sul diritto allo studio, già limitato dal numero chiuso adottato in primis dalla carenza di aule, laboratori e di personale, ha prodotto un sempre più limitato accesso all’istruzione universitaria, confermando il trend negativo dell’Italia che vede un tasso d’istruzione nettamente inferiore a quello del resto dell’Unione europea – con la percentuale di 30-34enni con un titolo di studio terziario al penultimo posto nell’Ue (meno del 27% nel 2018 a fronte del 39,9% della media europea - fonte Commissione EU).
Analoghe situazioni sono vissute dagli Enti Di Ricerca e dalla Ricerca universitaria, che per agire continuano ad aprire ai privati per attirare risorse. Operazioni che però li vincolano a perseguire obiettivi aziendali privilegiando la ricerca applicata alla produzione industriale, trascurando la ricerca di base, strumento fondamentale per una crescita sociale omogenea nel Paese.
Un altro aspetto che va affrontato con responsabilità in vista di un futuro equo e sostenibile è l’utilizzo dell’informatica in tutte le attività, da quelle del lavoro ordinario (tecnico/amministrativo) a quelle di ricerca e formazione, attraverso sistemi di video conferenza e controlli remoti.
L’obbligo del distanziamento sociale imposto dalla pandemia di Covid19 ha costretto le università a riorganizzare le attività in remoto, ma non si può non notare, con preoccupazione, l’enfasi con cui è stato accolto l’utilizzo dello smartworking e della didattica a distanza.
Sono strumenti che non possono sostituirsi integralmente alla didattica frontale e alle forme ordinarie di lavoro, come forse vorrebbero i fautori della crescita 4.0 con la complicità di Rettori e di molti Luminari della scienza, anche per sopperire alla mancanza di spazi didattici e di personale.
Senza soffermarci sulle conseguenze occupazionali, a nostro avviso devastanti con queste strategie, vogliamo concentrarci sulla qualità della formazione universitaria, consci che l’abbandono della didattica frontale determinerebbe una formazione insufficiente nel dare risposte alle domande della società, risposte che possono essere date solo da professionisti formati con momenti didattici sensibilizzanti.
Condividiamo l’opinione di tanti docenti che sottolineano l’importanza della lezione in presenza come momento di crescita sociale e di maturità relazionale che deve aggiungersi al mero e semplice trasferimento delle conoscenze di per se insufficiente alla formazione dei nostri giovani.
Per quanto attiene al personale tecnico-amministrativo poi il rischio di una spersonalizzazione del lavoratore, di un isolamento dal contesto lavorativo e di una sensazione di controllo continuo della propria vita, sono tutti rischi legati al cosiddetto lavoro agile, che seppur funzionale nell’emergenza, con il rientro alla normalità (che chiederà i suoi tempi) non può essere considerato applicabile in modo massivo, ma deve essere limitato ad alcune specifiche esigenze del lavoratore e non dell’azienda.
La tanto citata "Fase 2" che l’Italia e “forse” l’Europa dovranno affrontare, deve dare risposte adeguate, invertendo le strategie degli ultimi decenni, smettendola di considerare Costi, ma Investimenti le risorse impegnate nell’Università, nella Ricerca e nella Sanità, settori che dovranno coordinarsi non localizzandone la gestione che deve tornare a essere Statale e Pubblica.
Dovremo riconsiderare il ruolo di Università e Ricerca che non devono essere piegate alle regole aziendalistiche del mercato liberista, ma con Personale e strutture idonee devono dare strumenti adeguati ad uno sviluppo sociale omogeneo al Paese, con particolare attenzione alle necessità sanitarie ed ambientali.
Solo così potremo dare risposte omogenee alle esigenze attuali e future della società, che sarà sempre più soggetta a epidemie e devastazioni ambientali causati dall’uomo
Tale inversione di rotta comprende, oltre al necessario abbandono della politica dei tagli, l'altrettanto necessario aumento degli investimenti.
Una Università Pubblica a garanzia:
-
del diritto allo studio per tutti i ceti sociali;
-
di una didattica critica e qualificata per tutti;
-
di una ricerca orientata allo sviluppo e alla socializzazione delle conoscenze.
A questi risultati si arriva anche attraverso una gestione delle risorse umane che comprenda
-
sblocco reale del turn-over e riduzione della precarizzazione esistente stabilizzando tutti i lavoratori precari con risorse
economiche necessarie e senza concorso; -
la reinternalizzazione dei servizi in appalto e l’assunzione nella p.a. di chi vi lavora;
-
il rinnovo immediato dei contratti con aumenti salariali adeguati alle professionalità esistenti, parificandoli a quelli europei.