USB PI - Università di Trieste. Riflessioni sui "Green pass"

USB – Unione Sindacale di Base dell’Università di Trieste, con l'occasione dell'ennesimo protocollo Covid varato dal Rettore, ha inviato le proprie formali osservazioni sull’introduzione dei cosiddetti certificati verdi Covid-19 (nota USB protocollo di ateneo numero 114953 del 30/08/2021).

Vale la pena segnalare che i vertici di ateneo hanno inviato il testo relativo all’introduzione del “Green pass” alle ore 08.27 di venerdì 27 agosto ’21, fissando per la stessa mattinata, dalle ore 12.15 alle 13.15, un incontro sindacale “informativo” sulla questione.

 

Trieste -

 

Al Rettore dell’Università di Trieste 
SEDE

 

Oggetto: osservazioni in merito all’applicazione del cosiddetto “Green pass”.

USB sostiene l’importanza e l’utilità dei vaccini nel ridurre la mortalità infantile, nell’aumentare l’aspettativa di vita e, più in generale, nel migliorare la salute e le condizioni di vita.

Non è un caso che questa organizzazione sindacale, in occasione del cosiddetto “G20 della ricerca” svoltosi a Trieste l’8 agosto ’21, ha organizzato un presidio di informazione e controinformazione dedicato, in estrema sintesi, a chiedere che i finanziamenti pubblici siano vincolati ad una ricerca pubblica, alla messa in discussione dei brevetti e dell’idea che pochi si possano appropriare di qualcosa che esiste in natura e che invece deve rimanere patrimonio di tutti, ragionando sulle necessità sociali della comunità globale e non solo di quelle dei Paesi cosiddetti avanzati.

Ancora oggi, è opportuno esercizio di memoria ricordare che la sicurezza sanitaria di intere comunità nei confronti di gravi malattie come il vaiolo, la rabbia, difterite, tetano, tubercolosi, poliomielite deve molto ai vaccini.

Non è la prima volta che l’Italia si trova di fronte ad una importante campagna vaccinale e al conseguente formarsi di gruppi organizzati che ne mettono in discussione la ragione d’essere.

È già accaduto nel corso del 2017 in occasione dell’approvazione del Decreto Legge 07.06.2017, n. 73 recante “Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale (convertito con modificazioni con Legge di conversione 07.06.2017, n. 73). Il citato decreto ha previsto diverse vaccinazioni obbligatorie per i minori d’età compresa tra zero e sedici anni.

Di estremo interesse ancora oggi, è la questione della obbligatorietà che ne derivò in quell’occasione.

Al riguardo un interessante dossier è stato pubblicato sul mensile “Millennium”[1] proprio sul decreto in questione. In estrema sintesi, in Germania, Regno Unito (allora componente dell’Unione Europea), Svezia e in altri 17 Stati la lotta alle malattie infettive si combatte con l’informazione e i colloqui con le famiglie: “L’imposizione è controproducente”.

 Ad esempio in Germania il Parlamento aveva approvato una legge che “obbliga i genitori a presentarsi in un centro medico specializzato per fare un colloquio e ricevere una consulenza sul tema”. In Svezia, “i genitori contrari vengono chiamati, anche più volte, a colloqui individuali nei centri di medicina preventiva per discutere con i nostri esperti dei rischi e dei benefici dell’immunizzazione”. Inoltre, “in occasione dell’introduzione di un nuovo vaccino, l’agenzia pubblica competente si muove per fare informazione sul piano nazionale”.

 In secondo luogo se è vero che la “scienza non è democratica”[2] è altrettanto vero quanto affermato all’epoca dal filosofo Gianni Vattimo secondo il quale “La scienza deve essere democraticamente controllata. Dati ed esperimenti devono essere ripetibili e discussi, non sono certo i dogmi a fare la scienza. C’è ancora un limite fra razionalità pura e ragionevolezza per cui è vero che l’opinione dell’uomo del bar non è sullo stesso piano di quella dello scienziato, ma io spero ancora che gli uomini del bar controllino [attraverso le istituzioni… che devono rappresentare la comunità più vasta dei non-scienziati…] gli scienziati… deve esserci un equilibrio tra sapere specialistico e uso quotidiano della vita”[3].

 È possibile, pertanto, essere favorevole ai vaccini e alla conseguente campagna vaccinale, ad un tempo, e rimanere critici rispetto a come è stata condotta l’attuale azione vaccinale nel nostro Paese (a cominciare dalla mancanza di una informazione adeguata e capillare) e, più in generale, estremamente critici sulle modalità di contrasto alla diffusione dell’epidemia e, ancor di più, alla società del dopo Covid (modello di società, rispetto degli equilibri della natura, scelte economiche e così via).

 È doveroso distinguere fra quanti sono sostenitori di un irragionevole “negazionismo” applicato all’attuale pandemia e quanti non sono vaccinati perché le loro condizioni di salute lo sconsigliano in via prudenziale. È necessario garantire la massima tutela a quelle persone nei cui confronti la vaccinazione non può essere effettuata per ragioni di precauzione correlate allo stato di salute o\e in quanto controindicata, tenuto conto delle condizioni di salute del soggetto interessato.

Il recente Decreto Legge 06.08.2021, n. 111, e in particolare l’art. 1, 6° comma, pare andare in direzione opposta, introducendo procedimenti appesantiti a colpire persone che in ragione del trattamento terapeutico (farmacologico o equipollenti) oppure, più in generale, delle loro condizioni di salute, è prudente non siano sottoposti a vaccinazione.

Lo stato di non idoneità dovrebbe essere semplicemente accertato da un medico di medicina generale convenzionato con il servizio sanitario regionale (medico di famiglia). Avendo in cura la persona da tempo, ha tutte le informazioni per poter valutare, secondo la scienza medica, se le sue condizioni ne consentano la vaccinazione oppure, in via precauzionale, la sconsiglino. Se del caso, anche con l’apporto del medico specialista dipendente dal servizio sanitario regionale (ovvero di struttura sanitaria convenzionata con il servizio sanitario regionale) che segue il paziente.

Altresì, USB è dell’avviso che le predette persone non dovrebbero sottoporsi a tamponi per l’accesso agli ambienti lavorativi. È, dunque, doveroso equiparare la persona che non può vaccinarsi per ragioni di salute alla persona vaccinata e dotata di certificazione verde.

Diversamente opinando ci troveremmo di fronte ad un palese caso di discriminazione a motivo della salute della persona.

Ricorda, nel contempo, che l’emergenza sanitaria ancora in corso non prevede deroghe alle norme in materia di tutela della salute nei luoghi di lavoro. L’ateneo-datore di lavoro dovrà, pertanto, verificare se vi siano situazioni di potenziale pericolo derivante dalla numerosità del personale contemporaneamente presente nella medesima struttura universitaria, disponendo – ove la tipologia di lavoro lo consenta – il mantenimento di correlate misure di rarefazione delle presenze attraverso il ricorso al lavoro in modalità agile. 

Particolare attenzione dovrà osservare nei riguardi di quel personale che - per ragioni di salute - non può essere vaccinato, disponendo, da un lato, spazi lavorativi tali da consentire la prestazione in presenza in condizioni di sicurezza, dall’altro mantenendo comunque la possibilità di ricorrere al lavoro agile.

 USB si augura che dall’attuale situazione sanitaria gli organi “politici” e “tecnici” dell’ateneo apprendano l’ineludibile necessità di ripensare gli spazi lavorativi, di studio e ricerca, attraverso una diversa ed innovativa progettazione che prediliga la qualità degli ambienti di lavoro, le buone condizioni di permanenza al loro interno (si pensi, ad esempio, alla climatizzazione[4]), gli spazi disponibili per ogni persona, l’importanza di lavorare in un ambiente sicuro, salubre, funzionale (pensiamo, ad esempio, a quanto non siano funzionali oggi molte strutture amministrative e laboratori).

Vale la pena chiedersi se l’ateneo abbia colto l’attuale progettazione in corso nell’area del Porto vecchio per proporre solide, concrete, argomentate e motivate richieste di spazi da dedicare ad attività universitarie “istituzionali”.

Per quanto concerne la verifica delle certificazioni, ricorda che la stessa non può derogare dagli articoli 5 (Accertamenti sanitari) e 8 (divieto di indagini sulle opinioni) della Legge 20.05.1970, n. 300, né comportare acquisizione, anche solo indiretta, di dati tutelati dalla vigente normativa in materia di protezione dei dati personali.

Al riguardo, ricorda che il Garante per la protezione dei dati personali, con proprio comunicato del 24/06/2021 (reperibile nel sito istituzionale dell’autorità in argomento), ha segnalato come ”il QE-code deve essere esclusivamente esibito alle forze dell’ordine e a chi è autorizzato dalla legge a chiedercelo per l’esercizio delle attività per le quali la legge ne prevede l’esibizione e deve essere letto esclusivamente attraverso l’apposita APP di Governo che garantisce che il verificatore veda solo ed esclusivamente se abbiamo o non abbiamo il certificato e non anche tutte le altre informazioni e, soprattutto, non conservi nulla. Ogni uso diverso è pericoloso per sé e per gli altri”.

Quanto allo studente che segue le lezioni ovvero sostiene un esame da remoto, appare grottesco esigere l’esibizione del certificato verde.

Da ultimo ma non per ultimo, il protocollo varato dall’ateneo elenca diversi casi in cui i professori sono autorizzati a chiedere l’ostensione del certificato verde ma non un solo caso in cui altri possa fare altrettanto nei confronti dei professori.

Sullo stesso piano, trattandosi di una categoria notoriamente non soggetta ad alcun controllo presenza (lo stesso accade, inspiegabilmente, per i CEL – Collaboratori ed esperti linguistici…), USB chiede all’ateneo come intenda individuare eventuali professori, ricercatori e CEL con comportamenti non conformi alle norme e alle direttive di ateneo.

Molti saluti,

USB Pubblico Impiego – Unione Sindacale di Base università di Trieste

Referente di ateneo per USB PI: Ferdinando ZEBOCHIN

 

[1] Si tratta del mensile edito da “Il Fatto Quotidiano”. Il numero qui citato è stato pubblicato a settembre 2017 (numero 5 – Anno I).

[2] Documento citato, pagina 31.

[3] Documento citato, pagina 31.

[4] Questa estate i colleghi dell’ufficio stipendi raccontano di temperature nella zona soppalco attorno ai 32 gradi centigradi… ed ho detto tutto!