GENOVA. PRECARIO: LA COOP SEI TU !

Genova -

PRECARIO: LA COOP SEI TU !

Il tuo collega di ufficio è una coop. Sta proprio accanto a te, fa il tuo stesso lavoro, ma non è dipendente dell’università, non ha un contratto con l’università e non risponde del proprio operato all’università. Appartiene ad un esercito di mutanti, lavoratori geneticamente modificati in grado di cambiare aspetto per adattarsi ad ogni esigenza normativa o di spesa.

Cresce in batteria come un animale di allevamento di cui il contratto ne ricorda anche il verso: co.co.co. Li chiamano collaboratori, ma contano come il due di picche, li chiamano coordinati, ma devono ubbidire, li chiamano continuativi e questo è vero, continuano, continuano, continuano: da co.co.co a consulenti, per poi passare a tempo determinato e dopo ancora somministrati. Qualcuno infine diventa una ditta e vende se stesso ad un unico acquirente, l’università.

Adesso è una coop. Gli hanno detto che non era proprio più possibile utilizzarlo in altra maniera, è colpa di Brunetta, gli hanno detto che deve essere contento, ha ancora un lavoro, ha ancora uno stipendio. Guadagnerà un po’ meno del poco che percepiva, dovrà rinunciare a qualsiasi aspettativa di essere assunto dall’università, ma raccoglierà parole dense di solidarietà e comprensione. Cambierà tutto, tranne le proprie mansioni, ma a questo è abituato.

Il problema del precariato è bello che risolto. L’idea è geniale: esternalizzare singoli posti di lavoro, in attesa, s’intende, di una bella Fondazione che gli dia una parvenza di legalità. E’ una privatizzazione subdola di cui non si accorge nessuno: il precario continua il suo lavoro,  l'Ateneo si appropriano dell’attività e gli studenti ricevono il servizio. Chi ci perde? Non certo la cooperativa che si vede arrivare personale formato e professionalizzato a spese dell’Ateneo col solo obbligo di ricollocarlo nell’Ateneo, nel medesimo posto di lavoro, dietro lauto compenso.

Allora, tralasciando per un momento l’evidente illegalità collegata all’eventuale stipula di contratti che non corrispondono alle mansioni esercitate od all’elusione delle norme imperative in tema di lavoro nella P.A. e di divieto di interposizione illecita, bisogna rilevare che tale sistema alzerebbe i costi dei servizi, e diminuirebbe le garanzie, in termini di responsabilità e trasparenza e qualità, per gli studenti e per chi lavora nell'Ateneo.

Inoltre, c’è sempre il rischio che il precario trovi di meglio, determinando la necessità di formare nuovo personale (da poi esternalizzare) a carico evidentemente dell’Ateneo.
C’è sempre il rischio che questa privatizzazione diventi un modello, anche per sopperire ai limiti legali al turn over, con evidente compromissione delle opportunità di carriera per gli strutturati (niente assunzioni, niente verticali).

C’è il rischio che l’Ateneo adotti il sistema per diminuire l’incidenza degli assegni fissi sul fondo di finanziamento ordinario. Figurerebbe più virtuosa, e riceverebbe più fondi, ma in realtà spenderebbe di più e peggio (senza contare le spese per i contenziosi giudiziari proposti dai precari, che da soli rischiano di far saltare il banco).

L'utilizzo delle coop rappresenta un'accellerazione che va ben oltre le prescrizioni di legge. E' contraria al ruolo pubblico dell’università ed al ruolo sociale del lavoro. L'Ateneo produce futuro per gli studenti, non può farlo negando il futuro a chi a diverso titolo presta la propria attività.

 

No alle esternalizzazioni, no alle Fondazioni, no alla privatizzazione.!