LE PALLE AL PIEDE DEL MINISTRO BRUNETTA

Roma -

L’arrivo di Brunetta al Dicastero della Funzione Pubblica rappresenta sicuramente un’accelerazione rispetto alle politiche di smantellamento della Pubblica Amministrazione perseguite già dai precedenti Governi. Preceduta da un campagna mediatica senza precedenti contro i lavoratori della Pubblica Amministrazione, continuamente  tacciati di essere  “fannulloni”, l’annunciata  riforma di Brunetta rischia di trovare terreno fertile in un’opinione pubblica sostanzialmente ignara dei veri problemi che affliggono la  Pubblica Amministrazione.

Un’opinione pubblica che rischia di essere inconsapevolmente strumentalizzata per traghettare  la trasformazione di una Pubblica Amministrazione che si vuole non più al servizio dei cittadini, erogatrice di servizi fondamentali  perché  previsti dalla nostra stessa  Costituzione,  quali il diritto al sapere, alla salute, alla ricerca, alla giustizia, alla pensione, alla tutela degli infortuni sul lavoro…ma al servizio esclusivo dell’impresa.

L’ha dichiarato apertamente il Ministro all’apertura del Forum della Pubblica Amministrazione, subito dopo il suo insediamento. Lo troviamo esplicitato nella premessa del documento consegnato (sic!) alle OO.SS. per l’apertura del confronto sulla riforma. Scarsissimi se non inesistenti  i riferimenti all’utenza, al miglioramento dei servizi, alla necessità di investimento per migliorare il servizio pubblico; di contro tanti i riferimenti alla produttività, alla misurazione, alla valutazione del merito, mutuando concetti che solo in parte possono appartenere a settori erogatori di servizi alla collettività: come misurare la produttività negli ospedali (e pensare che con la prima bozza del Memorandum ci avevano provato!), nelle scuole, negli Enti di ricerca? Come non notare che, laddove questo poteva essere fatto è già stato fatto, come all’Inps, all’Inail, alle Agenzie Fiscali…dove i lavoratori percepiscono buona parte del salario accessorio solo al raggiungimento degli obiettivi di produttività, che aumentano in maniera esponenziale a fronte della diminuzione dei fondi?

E’ evidente, e lo stiamo dicendo ormai da tempo, che tutta questa premessa ha il solo scopo di camuffare un disegno ben preciso che vuole riformare il lavoro pubblico per seppellire definitivamente diritti che sono patrimonio di lotte e battaglie delle generazioni che ci hanno preceduto.

Prendiamo la questione delle assenze: nelle statistiche tanto di moda in questi giorni  non vengono conteggiate  assenze “ingiustificate” , ma assenze che trovano la loro ragion d’essere in leggi dello Stato a  tutela di particolari situazioni: queste sono le leggi sui congedi parentali, maternità o la 1204, ad esempio.

Forse il problema non sta nel fatto che nel pubblico impiego si fanno troppi figli, ma che nel privato troppo spesso al momento dell’assunzione i datori di lavoro fanno firmare alle lavoratrici neo assunte, lettere di licenziamento già pronte, da utilizzare in caso di futura gravidanza, negando alle lavoratrici quegli stessi diritti che lo Stato (e ci mancherebbe!) ancora per un po’ continua a garantire ai suoi lavoratori. Allora ribaltiamo la questione e cerchiamo di capire dov’è il problema: nel privato che nega i diritti o nel pubblico che li garantisce?

Noi tutti che lavoriamo nel  pubblico sappiamo benissimo che non viviamo in paradiso e che sono tante le cose che non vanno: sappiamo come vengono sperperati i soldi nelle consulenze, negli appalti, attraverso l’introduzione di lavoro precario che diventa cronico e che costa molto di più di quanto costerebbe l’assunzione a tempo indeterminato degli stessi lavoratori. 

Conosciamo la logica della clientela che governa le promozioni dei  dirigenti, la spartizione dei posti, le nomine compiacenti in ossequio allo spoil system. Sappiamo altrettanto bene che i carichi di lavoro sono aumentati in maniera esponenziale (e come potrebbe essere altrimenti visto il blocco delle assunzioni?), che si lavora, nella migliore delle ipotesi, con procedure farraginose, che non dialogano tra loro, non testate,  che a causa della carenza di personale negli asili nido e nelle scuole materne il rapporto insegnanti/bambini è di gran lunga superiore a quello consentito, a scapito della sicurezza e della crescita dei nostri figli, che i lavoratori appartenenti alle qualifiche più basse del pubblico impiego sono tra quelli che vengono definiti i nuovi poveri.

Trasparenza ministro Brunetta?

Invece di pubblicare gli stipendi spesso ingiustificabili di alti funzionari dell’Aran o della Funzione Pubblica, pubblichi quelli dei lavoratori “normali”: in qualche talk show serale verranno invitati maghi ed indovini per aiutarci a capire  come si fa ad arrivare a fine mese con stipendi da fame.

Solo questo può essere  per noi il piano di confronto: sgombrare il campo da falsi problemi, restituendo dignità ai lavoratori dl pubblico impiego,  ed  affrontare la riforma della Pubblica Amministrazione nell’ottica del rafforzamento delle sue funzioni, dell’investimento, in termini di personale e di strumenti, al fine di garantire un migliore servizio alla cittadinanza.

Noi della RdB Cub  Pubblico Impiego ci batteremo per questo, per impedire che tramonti  definitivamente l’idea di uno stato sociale che garantisca a tutti diritti e dignità.                             

Roma, 3 giugno 2008

 

RdB/CUB Pubblico Impiego