PENSIONI E DPEF: SINDACATI A CHE GIOCO GIOCATE ?
FUMO NEGLI OCCHI...
Affanno e fiato corto per quanti riconducono le proprie aspettative di vita alle politiche di questo o quel governo (o peggio di questa o quella fazione di governo) invece che alla ricostruzione dell'unità dei lavoratori e al rilancio del loro protagonismo sociale e politico. Dopo la tempesta berlusconiana, non è cambiato molto anzi quel che è cambiato a volte è cambiato in peggio. Il centro-sinistra ha tradito sistematicamente ogni promessa e gelato ogni aspettativa, non solo nella sua maggioranza "moderata" o "riformista" ma anche nella sua minoranza "radicale" di governo e di lotta o quella sua più accreditata estensione sociale rappresentata dalla austera e istituzionale Cgil.
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Dall'editoriale de Il Manifesto del 28 giugno
Sindacati, a che gioco giocate?
Carla Casalini
Siamo pessimisti. Parliamo al buio, felici di poter essere smentiti, ma le condizioni di questa cosiddetta «trattativa» sulle pensioni - per non parlare dei capitoli sul lavoro, i suoi tempi e precarizzazione - ci induce la crudezza suggerita da annose esperienze di altri confronti infelici, finiti malamente.
Non è un caso che il ministro dell'economia Padoa Schioppa, l'eroe cattivo della situazione, si sia richiamato da subito all'esempio del «1992», ossia all'accordo che abolì la scala mobile, per meglio far capire le sue intenzioni del presente. E risulta ormai indigesto il gioco di Prodi, che lo manda avanti e ritaglia per sé il ruolo di contraltare 'buono'.
Ma la parte più sconcertante in commedia tocca ai sindacati, che dopo la «rottura» col governo neppure parlano di sciopero. Non si capisce, prima di tutto, in che consista il confronto che Cgil, Cisl, Uil hanno in corso con Prodi, dunque non si capisce a che cosa porti la «rottura», se non a un nuovo appuntamento dove sarà ancora il governo a dare l'ultimatum, e i sindacati a subirlo.
Dopo mesi in cui la questione «pensioni» incombeva, ci si riduce a trattarla sulla soglia del Dpef - il documento di programmazione economico finanziaria che il consiglio dei ministri deve varare oggi, e che fisserà tutte le «poste» ossia i soldi dedicati a ogni voce della spesa sociale.
Ma quali soldi? Sostiene, questo governo, che per abolire lo «scalone» Maroni sulle pensioni - che obbliga chi ha già tutti i contributi versati a rimanere forzatamente più a lungo al lavoro, tranne essere cacciati fuori dalle imprese - ci vogliono «10 miliardi in 10 anni». Non è vero. Ma comunque basti ricordare che già nella finanziaria questo governo ha imposto un aumento dei contributi per i lavoratori dipendenti dello 0,3 per cento - equivale esattamente a 1 miliardo l'anno. Loro quindi l'hanno già pagato il costo per abolire lo «scalone». Ma se si aggiunge all'aumento dei contributi per i precari co.co.co e quant'altri, saliamo a 4 miliardi l'anno, ossia a 40 miliardi nel decennio.
Tanto basta perché i sindacati rispediscano al mittente qualunque argomento «finanziario», e denuncino il carattere esclusivamente ideologico, e politico, delle pretese governative. Che poi nel programma dell'Unione fosse scritto a chiare lettere che il maledetto «scalone» andava cancellato, è questione che riguarda tutti i partiti di sinistra della compagine prodiana - che invece annaspano per il terrore di muovere foglie che mettano in crisi il governo. E la campagna mediatica che addita la «sinistra radicale» come colpevole della rottura della trattativa, è orchestrata proprio per aumentare il suo panico, ma è grottesca.
La «rottura» infatti non è avvenuta per qualche spinta di «sinistra», politica o sindacale. E' una rottura da destra. Non a caso Padoa Schioppa prospetta un superamento in peggio della riforma Maroni: vuol dire che la mediazione cui il sindacato oggi può accedere sarà né più né meno il contenuto della riforma berlusconiana, seppur un po' camuffata? Pare di sì.
E che la Cgil, nel direttivo di ieri, non abbia concluso che a questo punto sarà sciopero, e abbia così espunto dalla trattativa i lavoratori, la concretezza sociale che di quel confronto è il nocciolo reale, fa capire bene che cosa è in gioco.
Nell'«unità» sindacale, non può rompere con la Cisl - già «disponibile» ad accordarsi - mentre sul piano politico c'è il ricatto di un governo «così fragile che potrebbe cadere», libero perciò di mostrare i muscoli.