UN PESSIMO "CONTRATTO DI RIFERIMENTO" - da Il Manifesto

Roma -

Siglata l'intesa per le imprese artigiane, sottoscritta ieri da Cgil, Cisl e Uil. Ma non dalla Fiom

FRANCESCO PICCIONI

Un contratto certamente controverso, su cui i giudizi sono radicalmente contrapposti. E' quello firmato da Cgil, Cisl e Uil ieri per gli artigiani. Per la precisione, si tratta dell'«intesa applicativa dell'accordo interconfederale», il livello più alto dei quattro - addirittura - che compongono la complicata architettura contrattuale del settore. L'associazione delle imprese artigiane ha salutato l'intesa - presentata solo ieri mattina alle categorie, con «obbligo» di firma entro il pomeriggio - come «il primo contratto federalista», perché prevede un forte decentramento regionale della contrattazione. Carla Cantone, della segreteria confederale Cgil, prova a smentire questa interpretazione, affermando che «riconferma tutte le funzioni del contratto nazionale, in modo particolare su diritti, inquadramento, orari e salari». Nulla sarebbe in realtà cambiato, insomma. Ma viene di fatto smentita da Luigi Angeletti, segretario generale della Uil, secondo il quale «siamo di fronte a un'innovazione che, con i dovuti adeguamenti, può rappresentare un utile riferimento per l'intero mondo del lavoro». Ma anche dal cislino Giorgio Santini, che la considera «un'intesa importante che definisce la riforma del modello contrattuale e rilancia le relazioni sindacali e il sistema della bilateralità». Nientepopodimeno.

Entriamo nel merito. Il contratto «interconfederale» per gli artigiani copre tutte le categorie in cui è diviso il settore: vale 4 anni e riguarda 1.400.000 lavoratori. In pratica, con l'intesa di ieri, questo livello si limita a definire l'aumento salariale secondo i parametri dell'inflazione programmata, più alcune questioni normative valide in generale. Toccherà poi al livello nazionale di categoria e soprattutto ai due livelli di contrattazione regionale (uno «interconfederale» e un altro di categoria) definire i «recuperi salariali legati alla produttività». Dato che l'intesa definisce di «pari cogenza» il livello nazionale e quello regionale, ecco che il giudizio di «primo contratto federalista» non sembra poi così squilibrato. Certo, si tratta di un federalismo «ulivista» (anche nella riforma costituzionale dell'Ulivo c'era la «legislazione concorrente» tra stato e regioni), ma sempre differenziazione regionale è.

La più grande categoria del mondo artigiano è, nemmeno a farlo apposta, quella dei metalmeccanici. La Fiom, questa intesa, non l'ha firmata. Già due anni fa aveva bocciato l'accordo che ora l'intesa perfeziona. Altrettanto ha fatto ieri, chiedendo un rinvio della firma per consentire alle categorie di confrontarsi sul testo appena ricevuto. Niente da fare, firmare o rifiutare. E la Fiom non ha firmato. Il perché è presto spiegato dal segretario nazionale Giorgio Cremachi: «è una devolution contrattuale per cui il contratto nazionale fa solo il recupero dell'inflazione programmata, poi tutto il resto è affidato a quelli regionali. E' la linea della concertazione che torna in nuova forma. Ma non è mica gratis».

Maurizio Marcelli, coordinatore nazionale Fiom del settore, scende più in dettaglio: «esprimiamo due giudizi, entrambi negativi. Uno di metodo: nel testo vengono confermate ambiguità di grande rilevanza, per cui abbiamo chiesto - inutilmente - di rinviare la firma per avviare la discussione. E uno di merito, perché di fatto si svaluta il livello nazionale del contratto, l'unico che può difendere anche i più deboli». Quattro livelli di contrattazione, per un settore infinitamente frammentato, appaiono decisamente tanti. Ma «questa intesa crea anche un intreccio di funzioni», spiega Marcelli, «che debilita il contratto nazionale». E' il frutto del cedimento all'impostazione delle associazioni artigiane, che condividono con Confindustria l'obiettivo di «cancellare» il contratto nazionale, ma che - al contrario della sorella maggiore, desiderosa comunque di un momento di centralizzazione nella contrattazione - vorrebbe veder realizzata la devolution totale: di categoria, regione, territorio e azienda.

Se questo è davvero il «punto di riferimento» per la «riforma del modello contrattuale», è facile prevedere grande conflittualità anche in presenza di un governo meno «nemico» di quello Berlusconi.

www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/15-Febbraio-2006/art63.html